La nascita del 54° stato africano: Sud Sudan

Il risultato del referendum è stato subito chiaro: il 98,83% della popolazione ha votato a favore dell’indipendenza del Sud Sudan dal resto del paese. Il 9 luglio 2011 si terrà la proclamazione del 54° stato africano: il Sud Sudan. Il referendum e la nascita del nuovo Stato dovrebbero mettere fine ad una guerra durata oltre 20 anni tra il Sudan del nord, forte militarmente e in predominanza arabo ed il sud, indifeso militarmente e meno organizzato, costituito da una popolazione nera, cristiana o animista che certamente al suo interno non è omogenea.
Da questo momento, le autorità del Nord e del Sud avranno alcuni mesi di tempo a disposizione per giungere ad accordi relativi ai confini, la divisione dei proventi petroliferi, e il futuro status delle regioni ricche di petrolio per capire se ed in che modo verranno ripartite tra nord o sud. L’80% per cento delle riserve di petrolio del paese infatti si trova nel sud, ma gli oleodotti e le raffinerie sono gestite dal nord. Per questa ragione, la situazione è potenzialmente esplosiva. I numerosi morti nella regione dal gennaio 2011 lo confermano, così come i 50 morti del mese di maggio durante gli scontri tra diverse fazioni dei militari. Purtroppo, il pericolo che la violenza possa continuare non si può escludere. Ad aggravare la situazione c’è inoltre la questione relativa ai diritti sulle acque del fiume Nilo, la cui gestione è certamente una preoccupazione di molti paesi dell’Africa orientale. L’indipendenza sudanese potrebbe avere un impatto sull’attuale posizione dominante del paese egiziano relativo alla gestione del flusso d’acqua. Secondo un accordo del 1959 tra Khartoum e il Cairo, infatti l’Egitto riceve annualmente 55,5 miliardi di metri cubi di acqua del Nilo. Alcuni paesi dell’Africa orientale, come l’Uganda, Kenya ed Etiopia, hanno ripetutamente chiesto l’abrogazione dell’accordo originario sulla gestione dell’acqua del Nilo, in quanto non rispondente ai reali interessi di tutti i Paesi coinvolti. Infine, mentre era in corso il processo di preparazione del referendum, milioni di sud sudanesi fuggiti durante il lungo conflitto nel nord del paese o nei territori degli stati confinanti hanno cominciato a fare ritorno presso le loro famiglie e/o terre d’origine allo scopo di poter esercitare il loro diritto al voto e nella speranza di godere, a seguito delle elezioni, di una pace duratura tra Juba e Khartoum. Il ritorno di un numero stimato pari a 1.5 milioni di persone ha comportato però l’emergere di nuove problematiche socio-sanitarie che le istituzioni e organizzazioni nazionali, internazionali e governative, non hanno ancora affrontato e che ormai devono necessariamente tenere in considerazione. Secondo i dati della IOM2, “il 60% delle famiglie dei rientranti ha una donna sola come capofamiglia ed il 60% ha meno di 18 anni. Per raggiungere il sud, il 75% ha viaggiato con autobus o camion, il 15% è arrivato a piedi, il 6% con barche ed il 3% per via aerea”. Come afferma Lisa Grande (UN Deputy resident and humanitarian coordinator for Southern Sudan), “In molti casi hanno venduto tutto quello che avevano al nord ed arrivano con quanto hanno potuto portare (…) La realtà della re-integrazione in molte di queste aree rurali sottosviluppate sarà molto dura per le famiglie”. Conseguenza diretta di questo stato di guerra ventennale è un Paese che si presenta con la quasi assenza di scuole, vie di comunicazione, infrastrutture socio-amministrative e ospedali: il Sud Sudan è al collasso, i bambini e i giovani non possono seguire con regolarità un corso di studi e ciò determina l’aumento dell’analfabetismo e la fuga dei professionisti, costretti a emigrare altrove o ad interrompere gli studi. Circa 8 milioni di persone non dispone di servizi essenziali e di personale adeguatamente formato per avviare la ricostruzione. La distruzione di infrastrutture sociali e amministrative è dunque l’aspetto più visibile del collasso socio-economico; in particolare, i servizi sanitari sono praticamente assenti e i pochi che esistono sono pressoché interamente dovuti agli sforzi delle organizzazioni umanitarie. Le condizioni generali di estrema povertà, gli alti indici di mortalità materna e infantile, la aspettativa di vita fra le più basse del mondo, l’alto livello di malnutrizione infantile, la diffusione di malattie ed epidemie testimoniano una situazione drammatica. Le donne e i bambini rappresentano, come sempre, i gruppi più vulnerabili.